Pubblicato da Vogue Italia
09 settembre 2016
Di Alessia Glaviano
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Marco Glaviano Ashley Richardson (St. Barth) 1984
In occasione della distribuzione del nuovo libro di Marco Glaviano "50" e dell'inaugurazione della mostra alla Monaco Modern Art Gallery questo lunedi 12 settembre, condivido con voi il testo e l'intervista che ho scritto per il libro.
Dare un significato all’esistenza è impulso fondamentale dell'uomo.
La ricerca del significato della vita è connaturata all’essere umano tanto quanto lo sgomento - in realtà la consapevolezza - che essa un senso non l’abbia.
E’ questa tensione - a volte esplicitata direttamente, a volte inconsapevole, il grande motore dell’arte. Una ricerca che diviene essa stessa significato, illusione dell’obiettivo.
Quello che fa di Glaviano un grande artista è a mio parere l’autenticità della sua ricerca e lo sviluppo coerente della sua arte.
Una carriera quella di mio padre, che ha attraversato oltre mezzo secolo, e non è ancora finita.
Dall’era del dissenso degli anni '70, quando la cultura di massa entra nella moda, e i temi dominanti della fotografia che la rappresenta si sviluppano dalla tendenza inaugurata nel decennio precedente: l’emancipazione sessuale. Agli edonistici anni '80 che segnano l’epoca degli eccessi, la celebrazione del benessere. I '90, in cui la fotografia di moda subisce l’ influenza della “cultura dello snapshot”. Una direzione che celebra la bellezza anticonvenzionale, donne colte nell'intimità di gesti quotidiani, senza trucco, capelli sporchi, imperfetti, mostrate nella loro fragilità, luoghi spogli, disadorni persino squallidi. I Duemila che inaugurano l’era delle celebrities, fino ad arrivare ad oggi, con un panorama fotografico internazionale che non è mai stato così vario e pluralista. Il web, e sopratutto i social network, hanno infatti abbattuto ogni barriera fra chi ha qualcosa da dire e il suo potenziale pubblico – non esistono più gli arbitri assoluti che decidono cosa sia giusto mostrare e cosa no. La democratizzazione dell’accesso allo sguardo produce, a sua volta e con una rapidità impensabile nell’era pre internet, effetti domino su diversi aspetti della nostra cultura e della società. Vediamo così accanto ai fisici statuari e meravigliosi delle modelle anche donne vere, magre, morbide, tonde, alte o basse non conta, donne che sorridono, a proprio agio con quelli che fine a qualche anno fa sarebbero stati considerati difetti da “ritoccare”, chirurgicamente o perlomeno con photoshop; e anche le differenze di gender iniziano a non essere più l’elemento primario di definizione dell’identità. Rivoluzione dell’immaginario che si deve sopratutto all’esplosione degli ultimi anni di sguardi femminili sul femminile, che restituiscono la varietà della bellezza.
Marco Glaviano Beatrice Borromeo (Punta Del Este, Uruguay) 2006
Glaviano ha attraversato tutte le rivoluzioni estetiche di oltre mezzo secolo come fossero lo sfondo su cui proiettare la propria visione, guidata sempre dallo stesso anelito: la bellezza.
Una bellezza ideale, classica, armoniosa, esplorata trasversalmente in tutte le diverse forme espressive con cui si è confrontato: il ritratto, la moda, la pubblicità, i nudi, il paesaggio.
Una ricerca maniacale, ossessiva, come se la bellezza, l’illusione della perfezione, potesse riportare ordine nel caos del mondo e della psiche.
La bellezza del corpo di una donna, delle radici di un albero, della mano di un jazzista, di una roccia scavata dal vento.
Nella fotografia di Glaviano è la forma che determina il contenuto, è la conoscenza della tecnica che libera la capacità di esprimersi.
Un rigore estetico che ha prodotto negli anni immagini che sono andate oltre il tempo e la moda, immagini che non appartengono davvero a nessuna delle estetiche proprie delle epoche descritte prima, quanto più al mondo interiore dell’artista.
Quando mio padre mi ha chiesto di scrivere un testo per questo libro, ho pensato che la struttura migliore sarebbe stata quella di un’intervista, un dialogo fra un padre e sua figlia, fra un grande fotografo e una giornalista. Da mio padre ho imparato molto, ma forse più di ogni altra cosa ciò che ci accomuna, seppur di segno diverso, è l’ossessività della ricerca, la passione per la vita.
Alessia Glaviano: Cosa ti ha attratto alla fotografia?
Marco Glaviano: Beh, è successo tanto tempo fa. Avevo uno zio preferito che mi assomigliava molto; avevamo caratteri molto simili. Lavorava nel cinema dove aveva iniziato come regista per poi passare alla sceneggiatura. È stato lui ad ispirarmi. Viaggiava, aveva vissuto in tutto il mondo con i divi del cinema. Quando avevo cinque anni ricevetti una Leica. Quello fu l’inizio. Ho continuato, a intermittenza, ma c’erano così tante altre cose che volevo fare.
Alessia Glaviano: Tipo?
Marco Glaviano: Beh, mi piaceva la musica. Amavo il jazz, Allora si trattava di qualcosa di molto ma molto nuovo. Era prima del rock’n’roll, quasi, no era decisamente prima. Poi ho studiato architettura. La fotografia continuava sempre ad esserci ma sullo sfondo. Continuavo ad occuparmene e avevo una camera oscura ma più che altro mi dedicavo ad altre passioni. Poi iniziai a fotografare musicisti jazz. Frequentavo anche festival di musica jazz dove suonavo. Poi alcuni musicisti famosi iniziarono a chiedermi “Posso avere questa o quella fotografia?” oppure “Puoi scattarmi una foto?”, quindi iniziai a pensare che forse la cosa poteva diventare un lavoro. Dopotutto come musicista non ero un granché.
Marco Glaviano Maureen Gallagher (New York) 1996
Alessia Glaviano: E quando è diventata un lavoro?
Marco Glaviano: Quando avevo più o meno 24-25 anni e decisi cosa volevo fare. Si trattava di scegliere tra la musica, l’architettura e la fotografia. Poi scoprii qualcosa di molto strano e cioè che ciò che provavo quando suonavo non era altrettanto forte rispetto a ciò che provavo quando avevo in mano la macchina fotografica. La verità è che ho sempre amato la fotografia. Iniziai a scattare foto durante gli anni della scuola e poi all’università. Dato che era troppo costoso assumere un fotografo che scattasse le foto per la mia tesi di laurea, mio padre decise di comprarmi una macchina fotografica. Per molto tempo fotografai solo edifici e architettura. Quindi passai alla natura morta. Avevo una Linhof 8x10. Enorme! Era impossibile spostarla, occorrevano due persone per farlo. Sperimentavo con quella e scattavo foto di architettura e natura morta. Poi passai ai musicisti e altro ancora. Ma le modelle arrivarono dopo. Molto più tardi.
Alessia Glaviano: E come è successo? Come hai iniziato a fotografare modelle?
Marco Glaviano: Credo che sia in gran parte dovuto all’incontro con Eva. Al tempo Eva aveva 18 anni. Mi ha aiutato molto dal momento che iniziare era difficile. C’è chi che pensa che ai miei tempi le cose fossero semplici, ma non è affatto così.
Alessia Glaviano: **Come hai incontrato Eva ****Malmström **?
Marco Glaviano: Andai in Marocco per un servizio fotografico. Ero molto giovane, sui 25-26 anni. Avevo un amico – un playboy – che mi disse che voleva unirsi in viaggio con me. E aggiunse: “Ah, porto anche la mia ragazza”. E si presenta con questa splendida ragazza. Mi piacque così tanto che iniziammo subito a fare conversazione. Stavamo passeggiando sulla spiaggia, quando mi disse: “Non potrei mai avere una relazione con un fotografo perché ci sono sempre troppe belle donne sul set!”. Tre mesi dopo eravamo diventati una coppia e la relazione durò per anni e anni. Al tempo era la modella più bella di Milano. L’unico motivo per cui rimaneva a Milano era perché c’ero io. Andavano tutti a Parigi. Ma lei era fra le predilette di Barbieri, Helmut Newton e tutti i fotografi più prestigiosi…Mi chiedeva di scattarle foto e poi parlava di me alle grandi testate “Conosco questo fotografo con cui vivo ed è davvero bravo. Magari dovreste usarlo per un servizio”. E lo fecero. È così che scattai le mie prime immagini per Vogue Italia. Poi andai a New York. Lavorava a New York e io la seguii. È iniziato tutto così.
Marco Glaviano Niky Taylor, Eva Herzigova, Amber Smith, Beverly Peele, Daniela Pestova (St. Barth) 1992
Alessia Glaviano: Cosa hai imparato attraverso la fotografia nel corso della tua vita? In che modo ti ha formato come individuo?
Marco Glaviano: Non sono un intellettuale e penso che la fotografia sia sempre stata per me qualcosa di istintivo. Vedo qualcosa che gli altri non vedono. La stessa cosa vale per tutti i fotografi. La differenza è che dieci (mila) persone passano di fronte a qualcosa senza neanche vederlo mentre tu lo vedi. Quindi penso che, alla fine, la fotografia sia l’arte di vedere le cose in maniera diversa, da un punto di vista unico e personale. Ovviamente fotografi diversi vedono la stessa cosa in maniera diversa e scatteranno – della stessa realtà – un’immagine totalmente differente. Posso portare un esempio: alcuni anni fa, realizzai un volume sulla Sardegna e una volta pubblicato la gente mi chiedeva: “Dove si trova il tal posto? È meraviglioso”. E io rispondevo: “È la vista di fronte alla tua finestra ma non la osservi mai attentamente”. Tutti quegli splendidi scogli. La gente possiede case proprio in quello stesso luogo senza averlo mai guardato veramente. Poi osservano le foto del libro e mi dicono: “Fantastico questo posto, dove si trova?”. “Proprio vicino a casa tua”. Ma non lo vedono. Ecco quindi penso che guardare sia la cosa più importante, guardare con occhi curiosi. Una curiosità nei confronti del mondo che ci circonda, delle sue forme.
Alessia Glaviano: Credo che perché qualcosa si possa considerate arte debba possedere un coefficiente di trasformazione che consiste nello scarto tra la realtà e la tua visione di essa. Dopotutto, senza trasformazione, la fotografia si ridurrebbe ad un semplice foglio di carta.
Marco Glaviano: Il tipo di fotografia che realizzo o che ho realizzato non è reportage. Si tratta di qualcosa di staged, pensato e ricreato nella realtà. C’è un processo dietro per cui ci chiediamo “Cosa vogliamo fare? Come possiamo ottenere ciò che desideriamo realizzare?”. Nasce prima come idea per poi passare alla sua attuazione e realizzazione. Una delle soddisfazioni maggiori consiste nel fare qualcosa che avevi discusso a lungo per poi vederlo finalmente prendere forma. Durante la fase creativa, quando l’immagine è solo un pensiero, non esiste ancora nella realtà. È il contrario del fotogiornalismo in cui vai fisicamente in un luogo e documenti qualcosa di importante e che rimane come documento. Quello che faccio io è finzione. Ma finzione basata sulla realtà in quanto tutto ciò che fa parte di questo universo chiamato moda, bellezza e glamour è reale. Lo vedi negli anni, nei decenni: cambia di continuo. Non è qualcosa che crei dal nulla.
Marco Glaviano Cindy Crawford St. (Barth) 1990 (Annuncio Pubblicitario)
Alessia Glaviano: La fotografia parla della società, della cultura. Non è forse così?
Marco Glaviano: Ha molto a che fare con la musica, con lo street style, con i giovani e ciò che fanno.
Alessia Glaviano: Con quello che siamo...?
Marco Glaviano: Ho anche notato che ogni grande movimento nella moda è nato dalla strada. Da sempre c’è un trendsetter che inizia ad indossare qualcosa di nuovo e di diverso e due anni dopo qualcuno ‘ruba’ l’idea rendendola commerciale. Ricordo quando andai a Londra da giovane, avrò avuto 17-18 anni. Non dormii per tre giorni di seguito da quanto ero emozionato a vedere gente così diversa. Londra era fantastica negli anni ’60. Poi quella diventò la moda. La stessa cosa accade ogni decennio. Sai, durante l’era della disco music a New York la gente si vestiva nella maniera più pazza e bizzarra. Cinque anni dopo ritrovavi quello stile in passerella; ecco quindi che esiste anche una dimensione documentaristica in ciò che facciamo. Tranne che è costruita e non era già parte integrante della realtà.
Alessia Glaviano: Cosa è per te la bellezza?
Marco Glaviano: La musica e la sua armonia sono bellezza. Ha a che fare con le proporzioni, è in gran parte un fatto di proporzioni ma anche la sensazione di un qualcosa che ti attrae. La bellezza è un qualcosa di universalmente riconosciuto. Viviamo in una cultura che è stata ossessionata dalla bellezza durante gli scorsi cinquemila anni. Non è certo qualcosa di nuovo.
Alessia Glaviano: Non credi che la ricerca di canoni di bellezza rigidi e rigorosi possa in qualche modo limitare la creatività?
MG: Questo può essere sia vero che sbagliato. Per gran parte della mia carriera ho combattuto per ciò che ritenevo fosse bello e non ciò che la gente riteneva bello in quel certo momento. So che se qualcosa è bello, la gente lo guarderà. Anche se non ne sanno il motivo. È come ascoltare Mozart: anche se non te ne intendi di musica classica, Mozart è ugualmente in grado di farti stare bene. Ovviamente occorre essere belli dentro, ma qui si parla di due cose differenti. Inoltre, ho notato che, per motivi che non sono mai riuscito a comprendere, la macchina fotografica sembra essere in grado di catturare la bellezza che viene da dentro. Se guardi queste immagini, quelle più interessanti sono quelle che ritraggono persone affascinanti e non solo belle esteticamente. Credo infatti che la macchina fotografica abbia questa strana capacità di ‘catturare’ la bellezza che esiste anche ad un livello differente. E qualcosa nello sguardo, non saprei dire con precisione ma c’è qualcosa…Non saprei spiegare come funziona ma funziona davvero. Se guardi le mie fotografie, vedi che queste sono tutte ragazze che hanno avuto una carriera duratura. E ora faranno parte di questo libro. Su migliaia, ce ne sono forse venti o trenta con una personalità davvero speciale. Ognuna di loro. Non ce n’era una dalla personalità insipida. Non una. Poi è vero che esiste questa leggenda per cui se sei bella dovresti essere anche stupida. Ma non è assolutamente vero. Se c’è una cosa che so è che la bellezza è universale. E non si tratta solo di uomini o donne ma di paesaggi, di architettura, del vento, di animali. Non c’è niente di più bello degli animali.
Marco Glaviano Cecilia Nord (Milan, Italy) 1990
Alessia Glaviano: John Szarkowski disse “Ogni immagine è un autoritratto”. Cosa ne pensi?
MG: Mi piacerebbe ma non credo sia così…Capisco cosa intende dire. Ovviamente ogni volta che scatti una fotografia c’è qualcosa di te che vi entra dentro ma, personalmente, credo che sia il soggetto a ricoprire il ruolo più importante. Per esempio, se l’albero non c’è non posso scattargli una foto. Quindi, il fotografo mostra il suo punto di vista ma osservando qualcosa che esiste già. Sia che il soggetto dell’immagine sia un oggetto, una modella o un semplice paesaggio, deve possedere qualcosa di accattivante e affascinante che dà forma alla qualità del risultato finale.
Alessia Glaviano: **Nella contemporaneità liquida e virtuale le immagini si susseguono, scorrono, spesso - troppo - veloci. Sono migliaia, milioni, di fotografie che hanno per lo più perso il connotato fisico, tangibile. Le fotografie che un tempo riempivano gli album, i cassetti, oggi riempiono lo spazio virtuale di un folder nel nostro computer, o sul nostro telefonino, sempre più prodotti di consumo rapido e sempre meno oggetti meditativi da venerare e conservare. Penso a come ricordo esattamente alcune fotografie della mia infanzia, le ho stampate nella memoria, le ho guardate e riguardate tante volte e come fossero delle chiavi mi basta richiamarle alla memoria per aprire diversi capitoli della mia vita. Le immagini sul mio wall di FB o Instagram le visualizzo mnemonicamente in modo diverso, non come oggetti in sé, sono più trasparenti, dissolte in quel un flusso continuo di informazione visiva su cui è difficile soffermarsi. L'immagine sta cambiando sempre più rapidamente la sua funzione d'uso da memoria storica a linguaggio, ma è importante a mio parere non perdere del tutto la funzione della memoria perché è attraverso il passato, il percorso, che si costruisce il futuro. Credo sia importante valorizzare e ricordare anche le immagini del passato, soprattutto quando legate a un percorso autentico, a una consapevolezza differente e una maggiore spontaneità per cui le fotografie mantenevano una maggiore aderenza con la loro sorgente nel mondo reale. **
MG: L’arte è sempre stata oggetto di controversie in quanto l’artista vede cose prima degli altri e questo fa paura. Lo stesso vale per ciò che è diverso: la massa lo teme – mi dispiace ma non ho altre parole per esprimere questo mio pensiero. La gente ha paura perché vuole che tutto resti uguale in quanto nella continuità ci si sente a proprio agio. Quindi ogni qual volta arriva qualcuno con qualcosa di diverso, la prima reazione è: “Ma è terribile! Non va bene! È questo, è quello”. Occorre tempo perché venga accettato. Lo stesso accade nella scienza, accade ovunque. Il rock’n’roll era stato definito la musica del diavolo e ora praticamente è come la musica classica. Ora i giovani ascoltano la musica tecno, che molto probabilmente è buona musica…Io non la capisco ma sono sicuro che se a loro piace deve esserci una ragione. Ogni cosa che è diversa cambia la nostra percezione del mondo in qualcosa che percepiamo come non sicuro, qualcosa che non ci fa sentire a nostro agio. E laddove molte persone non desiderano correre rischi, l’artista è diverso: l’artista desidera cambiare il mondo. Gli artisti vogliono fare qualcosa di diverso.
Marco Glaviano Iman (New York) 1987
Alessia Glaviano: Cosa ci puoi dire della tua "comfort zone"? Ti spingi mai oltre?
MG: Io? Non sono mai nella mia zona di comfort. Non so neppure cosa significhi.
Alessia Glaviano: Mi riferisco al tuo stile fotografico?
MG: Non mi sono mai messo in una situazione che fosse priva di rischi, mai. In quanto ho sempre fatto cose che alla gente non piacevano. Comunque io stesso non sono particolarmente a mio agio con quello che faccio perchè il più delle volte sono insoddisfatto del mio lavoro.
Alessia Glaviano: Come mai?
MG: Perché manca sempre qualcosa. Non va mai bene. Non è mai perfetto. Ovviamente la perfezione non esiste. Si fanno sempre errori e poi ci si ritorna sopra e si pensa ‘avrei potuto fare di meglio’. Specialmente quando arrivi alla mia età e guardi indietro al passato e pensi ‘oddio, ho commesso così tanti errori’.
Alessia Glaviano: Beh, sai come si dice, se non commetti errori significa che non stai facendo nulla...
MG: Si, ma non è di questo che sto parlando. È diverso. Certo, il modo migliore per non fare errori è non fare nulla. È quello che fa la maggior parte delle persone. Ma sto parlando di fare qualcosa e di commettere errori perché non si è abbastanza svegli, attenti o intelligenti per fare la cosa giusta. Ma dopo un po’ di tempo ci riguardi e te ne accorgi.
Alessia Glaviano: Come mai secondo te la fotografia è così legata all’insicurezza? Ho incontrato così tanti fotografi e sono tutti insicuri.
MG: È insicurezza, sì. Bè prima di tutto, ricordo che quando ero giovane giovane, la gente mi chiedeva ‘È venuta? ’ perché la fotografia era un procedimento così misterioso.
Alessia Glaviano: È la stessa cosa che mi ha raccontato William Klein proprio l’altro giorno. La gente gli faceva sempre quella domanda ‘È venuta?’
MG: Eh sì! Perché sai allora la gente non aveva l’iPhone. C’erano circa una ventina di cose che potevano non funzionare e rovinare uno scatto. E occorreva aspettare tre giorni per vedere se la foto era venuta o meno. Inoltre, non dimenticare che la fotografia è un’arte che richiedeva molteplici passaggi. Tanti piccoli gesti manuali. Armare l’otturatore, aprire questo, chiedere quello, così tante azioni. Non c’erano le polaroid e non sapevi se avevi ottenuto l’immagine che desideravi perché sviluppare la foto era un processo che richiedeva 3 giorni in laboratorio, 3 giorni che dovevi attendere per vedere se avevi o no l’immagine. Quindi all’inizio il processo fotografico era misterioso e incerto.
Marco Glaviano Ashley Richardson (St. Barth) 1984
Alessia Glaviano: Si, ma vedi, credo che ci sia qualcosa nel mestiere di fotografo che costringe a dubitare costantemente di se stessi. O forse è solo perché tutti gli artisti tendono ad essere insicuri. Penso che, come per tutte le altre arti, si vive nella costante ricerca di un riscontro…si dipende molto dal giudizio della gente per sentirsi soddisfatti di se stessi.
MG: Sì. Oh, se hai ragione. Dipende moltissimo da ciò che pensa la gente di te. È una contraddizione in quanto inizi quest’arte per andare contro ciò che pensa la gente. Ma poi, per avere successo o almeno per sopravvivere, hai bisogno della loro approvazione. L’approvazione è un processo difficile in quanto la maggior parte della gente dirà sempre ‘no, no, no’. Ora sto lavorando a questo libro che contiene circa cinquecento immagini scattate nell’arco di oltre cinquant’anni. La maggior parte di queste fotografie erano state respinte dalle riviste quando le spedii al tempo. Immagini che non furono pubblicate perché ritenute non sufficientemente buone eppure sono le migliori.
Alessia Glaviano: Pensi che sia possibile tracciare una linea di demarcazione tra lavoro commerciale e lavoro artistico?
MG: No, perché alcune delle immagini che sono risultate essere le più durature e interessanti furono realizzate nel corso di un progetto commerciale. Prima di tutto questo è un lavoro commerciale. Perché, siamo onesti, se vuoi chiamarmi fotografo di moda, che può essere vero, quello che facciamo è essenzialmente scattare immagini per vendere gli abiti creati da qualcuno. La maggior parte delle persone non è in grado di andare oltre l’aspetto commerciale. Poi alcuni fanno sì qualcosa di commerciale ma con una visione in grado di trascendere e diventare arte. Ma è molto raro. Solo pochi riescono a farlo. Quindi credo che non sia possibile tracciare una linea di demarcazione. È difficile. Secondo me, il lavoro commerciale è molto importante perché è una sorta di banco di studio. Dimentichiamo che la fotografia è difficile, è un mestiere molto difficile. Se lo approcci in maniera seria, non prendi semplicemente in mano una macchina fotografica e inizi a scattare. Occorre imparare e studiare molto. Occorre esercitarsi ogni giorno, è un po’ come suonare il piano. Non ti esibisci in un concerto ogni giorno, eppure suoni. Ti eserciti. Il lavoro commerciale ti dà gli strumenti necessari per imparare il mestiere che poi trasformerai in una professione.
Marco Glaviano Stephanie Seymour (Paris) 1985
Alessia Glaviano: Quanto è importante la tecnica rispetto all’avere una visione?
MG: Penso che la visione senza la tecnica non porti da nessuna parte. Perché non puoi neanche avere una visione se non sai come tradurla in realtà. Altrimenti si tratta di coincidenze fortunate e questo non è certamente il mio metodo. Gli “incidenti fortunati” esistono ma se si dà una macchina fotografica ad uno scimpanzé, anche questo prima o poi scatterà una buona foto per puro caso. Non c’è dubbio. Ma questa è un’altra storia. Io sono una persona che in passato sviluppava le sue fotografie da solo nella camera oscura. Sono tecnicamente esperto. Conosco poche persone – cioè, ce ne sono, ma non così tanti – che fanno altrettanto. Poi ci sono persone che scattano immagini. Se hai un’idea ma non sai come tradurla in realtà, se non hai la tecnica, le tue idee saranno limitate. Quando hai un’idea, devi chiederti ‘Come faccio a realizzare la visione che ho in mente?’. Poi ovviamente c’è quel tipo di fotografia che ha avuto inizio alla fine degli anni ’80 quando le riviste iniziarono a pubblicare immagini sfuocate e la cosa era considerata ‘cool’, divertente, bella e diversa.
Alessia Glaviano: Quale ritieni che sia stato il punto di svolta della tua carriera?
MG: Il successo?
Alessia Glaviano: Sì, il successo.
MG: Il giorno, una domenica pomeriggio, quando incontrai Alex Lieberman. Fu fantastico. Ero nel mio studio, e per scherzo dissi: ‘Se è Vogue, non rispondere’. Al tempo dicevo: ‘Se chiama Lieberman, dì che sono impegnato’. Avevo uno studio e stavo lavorando ad un progetto commerciale. Ovviamente quello era il sogno; allora, ogni fotografo desiderava lavorare per Vogue America. Poi un giorno mi arriva la telefonata. Era Lieberman. E dissi al mio assistente: ‘Dai, non mi prendere in giro’. Ma era lui. E mi disse: ‘Ho visto una tua foto e vorrei incontrarti’. Al che risposi: ‘Cosa…? Quando?’. E lui: ‘Al momento sono molto impegnato in realtà, potresti venire domenica mattina’? Ci andai, lo incontrai e fu lui a portarmi al livello successivo. Al tempo mi stavo laureando. Riuscire ad avere un incarico per Vogue America con Alex Lieberman era come avere una laurea.
Alessia Glaviano: Che ruolo ha l’ossessione nell’arte?
MG: Oh, che dire, devi essere ossessionato per fare fotografia. È molto importante. Non puoi farla se non ne hai l’ossessione. Altrimenti è impossibile spiegare come mai certe persone continuano a lavorare fino alle quattro, le cinque di mattina se non sono completamente ossessionati. Guarda, io avevo uno studio a New York, facevo fotografia commerciale fino alle cinque o le sei di pomeriggio poi staccavo per mezz’oretta per poi riprendere con la fotografia editoriale o progetti personali. Non potevi che essere ossessionato per condurre una vita del genere e rinunciare ad uscire con gli amici. Continuai a fare questa vita per anni, senza mai fermarmi. Ossessione in senso buono.
Marco Glaviano Cindy Crawford (St. Barth) 1992
Alessia Glaviano: Io sono ossessionata.
MG: Se hai l’ossessione per qualcosa che è importante, ovviamente è difficile, potrà essere anche doloroso e duro ma ti porta a produrre risultati che altrimenti non otterresti.
Alessia Glaviano: Parlami del tuo libro.
MG: Ho realizzato molti libri a dire il vero. Credo quindici. Ma questo conterrà un po’ tutto ciò che ho fatto. Non solo le modelle. Essenzialmente è un modo per ripercorrere quei cinquant’anni di lavoro costante e assiduo. Ci sono cose che la gente non sa neppure che abbia fatto. Direi che è il libro conclusivo in quanto, dopo questo, non credo che mi occuperò di tanti nuovi progetti. Forse qualcuno, si spera, ma non più di tanto. Quindi si tratta in un certo senso di chiudere un cerchio. Poi, ovviamente, mi auguro che ci saranno altri volumi, ma non sarò io a realizzarli. Adrianna (sua figlia) ha già in progetto un libro con tutte le mie vecchie polaroid. Anche tu probabilmente vorrai fare qualcosa tra una ventina d’anni. Quindi, ovviamente ci saranno altri volumi ma non realizzati da me o in cui sarò coinvolto personalmente. Inoltre, sto realizzando questo progetto con la famiglia, con te e Adriana (sua sorella). Ed è confortante…vedi a proposito di zona di comfort. Ecco, forse è questa la mia zona di comfort.
Marco Glaviano Stephanie Seymour (St. Barth) 1982
Marco Glaviano Carol Gramm (New York) 1978
Marco Glaviano Chet Backer (Pescara, Italy) 1975
Marco Glaviano B.B.King (New York) 1992
Marco Glaviano Dizzy Gilespie (New York) 1978
Marco Glaviano Elvin Jones (New York) 1996
Marco Glaviano Richard Davis (New York) 1978
Marco Glaviano Sonny Rollins (Umbria, Italy) 2002
Marco Glaviano Patty (California) 1988
Marco Glaviano Satya Arteau (St. Barth) 2000
Marco Glaviano Paulina Porizkova (New York) 1987
Marco Glaviano Stephanie Seymour (Arizona) 1985
Marco Glaviano Eleonora Abbagnato (Palermo, Sicily - Italy) 2005
Marco Glaviano Paulina Porizkova (West Indies) 1992